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Racconti Culinari 

(ricette)

Intingolo di Capriolo

Dopo un lungo e avventuroso viaggio attraverso le acque scintillanti del Mar Mediterraneo…

Nastrini al mirto con sugo di volatili

La mia passione per la conoscenza del futuro mi porta a frequentare il piccolo Larth, precoce augure Vulcente…

Falò del cacciatore

Oggi, armati di archi e frecce, ci avventuriamo nei misteriosi boschi che circondano Vulci, con una missione speciale…

Baccalà con ceci al finocchietto selvatico

Un piatto che racchiude l’anima di Vulci, dove il mare si incontra con la terra.

Il cinghiale a bujone

Per intraprendere il viaggio del sapore, bisogna partire dalle selvagge e misteriose selve rupestri della Maremma…

Tracta al Capriolo con Mortella

La tracta è un’antica preparazione etrusca, un impasto semplice di acqua e farina non lievitata che…

Ghiro in salsa di silfio

Mio figlio Celio, sempre goloso dei deliziosi ghiri, aveva chiesto come regalo di nozze due glirarium per il suo matrimonio con Velia…

Stufataccio di lumache

Alle prime luci dell’alba, il silenzio dell’aria è spezzato dai delicati profumi di orzo maturo e grano secco che quasi fremono per essere falciati…

Galletto alla griglia con salsa

Ogni anno, durante la stagione della risalita dei cefali, dal mare verso il fiume Fiora, è mia abitudine …

Baccelli freschi con uova

Per onorare il rito propiziatorio, si stappa una bottiglia di “Etruschello” Riserva, lasciando che il profumo di questo nettare divino riempia la stanza…

Garum

Un antico nettare che affonda le radici nei sapori etrusco-romani, intriso di storie e leggende dimenticate. La salsa di pesce salato, il garum, è un elisir…

Fettuccine nuziali di Apicio

Il termine “nuziale” prende vita dalla presenza dei lampascioni, quei tuberi avvolti da un alone di mistero e fascino che nell’antichità …

Acqua cotta all'etrusca

Un tuffo nel passato, quando le tradizioni etrusche si mescolavano alla vita rurale della bassa Maremma. L’Acqua cotta è il piatto…

Porcellum laureatum in dolce e forte

Il Dolce e Forte è un piatto dalle radici millenarie, celebrato anche nella “De re Conquinaria” di Marco Gavio Apicio nel corso…

Fegato di vitello alla pasta d'olive

Un tuffo nell’antica cucina etrusca, un piatto che racconta la storia di una terra generosa. Si stappa una bottiglia di Chianti “Etruschello” Riserva…

Lampascioni nuziali al vino cotto o miele

Inizia cucinando i lampascioni in un filo di olio d’oliva, dove il calore accoglie il loro sapore unico…

Uova di quaglia con portulaca all'aceto balsamico

Immergere le piccole uova di quaglia, bollite e sgusciate, in un profumato…

Ceci verdi freschi al finocchietto selvatico

I ceci verdi, appena raccolti nei terreni fertili di Vulci, vengono trattati con rispetto e passione…

Olive nere al miele

Le olive nere si raccolgono solo dopo che l’inverno le ha baciate con il suo gelo. Sarà una notte silenziosa…

Salsa alle olive

Mettere in salamoia le olive quando sono ancora verdi, saranno pronti solo dopo due mesi…

Crostoni di menta

Oggi è il giorno della ricorrenza annuale dedicata all’assaggio del pregiato vino Etruschello…

Globi di ricotta

Oggi la mia capanna è in festa, un tripudio di colori e suoni! Danze che s’intrecciano con canti inebrianti, accompagnati dal dolce fischio dei flauti doppi…

Uova di quaglia al garum

Le uova, avvolte nel calore di una olla al fuoco piena di acqua, si cuociono lentamente, raggiungendo…

Intingolo di Capriolo

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Dopo un lungo e avventuroso viaggio attraverso le acque scintillanti del Mar Mediterraneo, dove ho toccato le rive di porti leggendari come Cartagine, Alessandria, Atene, Siracusa e Roma, affollati di mercanti e carichi di preziosi beni orientali, ho finalmente venduto le ultime anfore di vino pregiato proveniente da Vulci. Con il cuore colmo di soddisfazione, dirigo la prua della mia nave, ora colma di vasi greci e spezie esotiche, verso la mia amata terra natale.

Quando arrivo a Vulci, stanco delle monotone giornate trascorse a mangiare carne secca e garum, l’aria fresca e ricca di profumi che solo la mia capanna sa offrire mi accoglie calorosamente. Oggi, il mio pranzo è un piatto prelibato: intingolo di capriolo, cacciato da mio nonno Velio, che ha sempre avuto l’occhio esperto per scovare le prede più nobili. Dopo che mia moglie ha lasciato il capriolo a marinare nel vino per tutta la notte, inizia la preparazione. Con maestria, taglio la carne a piccoli pezzi e la rosolo in un tegame ben caldo, facendo evaporare i liquidi fino a farla dorare perfettamente. Poi, unisco il tutto al battuto di cipolla abbondante e gurgulestro (smirnio o sedano selvatico) dalle note intense.

È il momento di aggiungere le spezie: coriandolo, ginepro, timo, alloro, sale e pepe. Faccio sfrigolare e sfumo con un vino bianco delle valli di Vulci, un nettare che sa di antiche tradizioni. La cottura continua, con delicate aggiunte di acqua di alloro, che infonde alla carne il sapore delle radici più profonde della nostra terra.

E come sempre, al momento giusto, la mia capanna si riempie della risata di Pindaro, l’amico di sempre, che arriva portando con sé un seguito di danzatrici e compagni festosi, pronti a celebrare insieme la riuscita di questo piatto leggendario. E mentre il capriolo raggiunge la sua perfezione, l’aria si riempie di risate, vino e il dolce suono della musica, fatta da flauti, nacchere , cetre, sistri, litui…. in una serata che si annuncia indimenticabile.

Nastrini al mirto con sugo di volatili

La mia passione per la conoscenza del futuro mi porta a frequentare il piccolo Larth, precoce augure Vulcente, noto per la sua straordinaria capacità di interpretare il futuro. Ma questa volta, non ci siamo limitati a scrutare il cielo e osservare il volo degli uccelli: armati di fionda e frecce, ci siamo immersi nella caccia. Dopo una lunga e faticosa giornata, il nostro bottino è stato ricco: quattro colombacci, sei quaglie, otto tordi e due fagiani. Abbastanza per invitare qualche amico del villaggio a cena, Così, ho deciso di seguire il consiglio di mia nonna, che, con la sua saggezza, mi insegnava i segreti della cucina:
 – In una casseruola, soffriggo cipolla, porro, sedano e qualche lampascione. Aggiungo i volatili, tagliati a pezzi grossi, e li sfumo con vino rosso.
– Subito dopo, faccio entrare in scena le erbe aromatiche: alloro, timo, ginepro, rosmarino, coriandolo e bacche di mirto. Sale e pepe, giusto quanto basta.

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– Aggiungo brodo vegetale e lascio cuocere, lasciando che i sapori si intreccino come fili invisibili.
– Quando i volatili sono ben cotti, disosso e trito la carne con coltello affilato, creando un impasto ricco di aromi.
– A parte, preparo un impasto con uova e farina, aggiungendo germogli freschi di mirto, lo verso nella padella con olio caldo, a modo crep, una volta pronti, li taglio a nastrini e li ripasso nel tegame con il sugo di volatili, così che assorbano tutto il sapore della carne.
– Infine, il tocco finale: una pioggia di chicchi di melograno, rossi come il sangue di un antico sacrificio, che donano freschezza e una nota agrodolce.

Ma porca zoccola, lercia, maremma assatanata, allampanata, allupata, avvelenata, budella asserpentata, accinghialata, a via di sfumare non mi è rimasto nemmeno un goccio di vino per brindare con l’amico aruspice. Ma gli Etruschi bestemmiavano cosi? 

 

Falò del cacciatore

Oggi, armati di archi e frecce, ci avventuriamo nei misteriosi boschi che circondano Vulci, con una missione speciale: dare il nostro supporto all’amico Marzio, il celebre aruspice, che per volere del lucumone Prisco deve scrutare le viscere di alcune creature per decifrare il futuro della nostra città, minacciata dalle crescenti incursioni nemiche nelle campagne circostanti.
La caccia è fortunata: cinghiali maestosi, capre selvatiche dal manto nero come la notte e lepri fulminee si arrendono alle nostre frecce. Dopo averli portati nel palazzo del lucumone, Marzio, con la sua abilità arcana, rimuove con precisione le viscere degli animali, iniziando il suo rito di interpretazione. Mentre attendiamo, il nostro cuore è colmo di aspettative, e veniamo invitati a corte per celebrare i segni positivi rivelati dall’aruspice.

Un kantharos di “Etruschello” viene sollevato in un brindisi, e così, con il corpo e lo spirito sollevati, osserviamo la preparazione del banchetto. Le carni, scelte con cura, vengono tagliate in pregiati pezzi e immerse nel vino acre, che ne esalta il sapore selvaggio. Poi, con gesti sapienti, vengono scolati, salati e conditi con un trito profumato di erbe aromatiche: origano fresco, ginepro pungente, germogli di mirto, timo selvatico, alloro, ramerino e coriandolo.

Con il fuoco che danza sotto il cielo stellato, le carni vengono adagiate sul grande falò, sfrigolando e emanando un aroma che attira anche le stelle a guardare. Il vino, preparato dal grande simposiarca del lucumone, scorre in abbondanza, riempiendo i kantharos e l’aria di un’effluvio che sa di terra e di vittoria. La notte si fa magia, tra danze e giochi, mentre il destino di Vulci sembra riscriversi, sotto il segno degli dei e della caccia.

Baccalà/ merluzzo /nasello con ceci al finocchietto selvatico di Vulci

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Un piatto che racchiude l’anima di Vulci, dove il mare si incontra con la terra.
Utilizza filetti di baccalà dissalato del Tirreno, ceci verdi freschi e il finocchietto selvatico che cresce sui colli di Vulci, dove il vento porta con sé i segreti delle antiche civiltà.
• Dorare la cipolla in un filo d’olio extravergine di Canino, con un profumo che evoca le terre di Canino. Aggiungi il baccalà e lascia che si rosoli lentamente, come se il pesce stesso stesse raccontando la sua storia.
• Sfuma con un vino bianco che sa di mare e di sole, un tocco di freschezza che accarezza il palato.
• Aggiungi i ceci lessati, che con la loro dolcezza abbracciano il baccalà.
• A fine cottura, cospargi il piatto con il finocchietto selvatico di Vulci, l’erba che cresce libera tra le rovine di antichi templi.
• Pepe quanto basta, e servi con pane casereccio abbrustolito, per completare un piatto che profuma di storia e di territorio.

Il cinghiale a bujone

Per intraprendere il viaggio del sapore, bisogna partire dalle selvagge e misteriose selve rupestri della Maremma, dove il cinghiale, con la sua forza primordiale, si aggira tra i boschi e le rocce. Per rendere omaggio a una tradizione antica, tipica della nostra cucina etrusca, apri la sera prima un’anfora di “Etruschello” riserva, un elisir che racchiude nelle sue note l’essenza di quei luoghi lontani. Un sorso, due sorsi… ma, attenzione, conserva con cura il resto del vino, perché sarà il nettare che accompagnerà il cinghiale durante la sua marinatura. Immergilo, pezzo per pezzo, in un abbraccio di coriandolo, ginepro, pepe, alloro, mirto, origano fresco, ramerino e i fiori selvatici di finocchietto, che profumano di Vulci e delle terre etrusche.

Lascia che il cinghiale si fonda con questi aromi, quindi scolalo con delicatezza e mettilo in una casseruola.  

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Cuocilo a fuoco vivo, liberandolo dei liquidi che il suo corpo generosamente rilascia. Intanto, in un’altra casseruola, crea un soffritto d’autore: cipolla dorata, carota e una costola di sedano tritati con maestria. Quando il soffritto sarà pronto, unisci il cinghiale, aggiustalo di sale e sfuma con un po’ del prezioso vino rosso. Se non basta aprire un’altra anfora di vino. Tanto se avanza si farà un’altro brindisi per la buona riuscita del piatto. A poco a poco, versa il liquido aromatico che ha avvolto il cinghiale nella marinatura, come una carezza che lo risveglia.

Lascia che la magia della cottura si compia, aggiungendo il suo stesso succo che ha prodotto nel primo passaggio. Man mano che la carne si ammorbidisce, arricchisci con qualche goccia di acqua di alloro, finché il piatto non avrà raggiunto la perfezione. Quando il cinghiale sarà tenero e intriso di profumi antichi, il tuo capolavoro sarà pronto.
Un piatto che racconta storie di boschi lontani, di tradizioni etrusche e di sapori che affondano le radici nella terra.

Tracta al capriolo con mortella

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La tracta è un’antica preparazione etrusca, un impasto semplice di acqua e farina non lievitata che un tempo veniva utilizzato come pane, ma che oggi rivive sotto forma di pasta a straccetti, perfetta per un piatto dal sapore autentico e misterioso.

 

  1. Preparazione del Capriolo: Stappare una bottiglia di “Etruschello” riserva e lasciare marinare il capriolo per una notte in compagnia di timo, rosmarino e alloro. Il vino, rubino come il tramonto, si mescola agli aromi della terra etrusca, regalando al capriolo una profonda fragranza.
  2. Cottura del capriolo: In una pentola dal fondo spesso, soffriggere cipolla, sedano e carota fino a che non sprigionano il loro dolce profumo. Aggiungere il magro del capriolo, tagliato a generosi pezzettoni, e sfumare con il vino rosso, lasciando che il calore catturi ogni sfumatura del nettare. Unire timo, rosmarino, mirto, sale e pepe. Per prolungare l’incantesimo, allungare con acqua d’alloro, un liquido che ricorda l’armonia delle foreste etrusche.
  1. Ultimi tocchi: Quando il capriolo è tenero e perfettamente cotto, tritarlo finemente con il coltello, mantenendo la rusticità del piatto.
  1. Saltare la tracta: Cuocere la tracta nell’intingolo del capriolo, affinché la pasta assorba ogni goccia di sapore, trasformandosi in un piccolo trionfo della cucina etrusca.

Ghiro in salsa di silfio

Mio figlio Celio, sempre goloso dei deliziosi ghiri, aveva chiesto come regalo di nozze due glirarium per il suo matrimonio con Velia, la figlia dell’amico Larth, nostro vicino di capanna. Il loro dono si rivelò ben presto un vero e proprio allevamento fiorente, un piccolo regno che cresceva e prosperava sotto le loro cure. Quando si avvicinava il primo anniversario del loro matrimonio, decidemmo di festeggiare insieme all’amico Larth con una grande celebrazione.

I preparativi furono frenetici: il fuoco scoppiettava vivace in cucina mentre raccoglievamo bacche, erbe aromatiche e spezie, preziosi tesori della nostra dispensa segreta. Quando giunse la notte dell’anniversario, ci riunimmo attorno a un grande falò. Le scintille danzavano nell’aria come piccole stelle, mescolandosi con il cielo che sembrava anch’esso scintillare in risposta al nostro fervore.

I ghiri, preparati con cura, vennero immersi in una salsa fragrante e complessa, un’armonia di levistico, ruta, silfio, coriandolo, miele dorato, mosto cotto e un filo d’olio che avvolgeva ogni pezzo con un profumo che anticipava il piacere. Salati e pepati con maestria, erano pronti per essere cucinati in un banchetto che prometteva di essere indimenticabile.

Per la grigliata, tirammo fuori i graffioni, strumenti rari che riservavamo solo per le occasioni più speciali. Sollevammo i kantharos colmi di vino, il liquido rubino che scintillava alla luce del fuoco, e l’aria si riempiva di profumi inebrianti. La danza delle fiamme, ora selvaggia ora gentile, sembrava una sorta di rito sacro, che univa la terra e il cielo in un momento di pura magia. Era una notte che avremmo ricordato per tutta la vita, una celebrazione di amore, tradizione e amici, dove ogni gesto e ogni aroma raccontavano una storia che affondava le radici nei tempi lontani.

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Naturalmente, oggi questa ricetta sarebbe impossibile da realizzare. I ghiri, un tempo prelibatezza della cucina etrusca, sono protetti e la caccia è vietata, mentre il silfio, quell’erba leggendaria che i romani tanto amavano, è scomparso da secoli, perso tra le pieghe della storia.

Stufataccio di lumache

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Alle prime luci dell’alba, il silenzio dell’aria è spezzato dai delicati profumi di orzo maturo e grano secco che quasi fremono per essere falciati. Mi sveglio e, come un pellegrino che si fida dei suoi passi, esco dalla porta settentrionale della mia civita, Vulci, e mi addentro nei sentieri polverosi che costeggiano il Fiora. La terra mi è amica, e oggi mi offre il suo tesoro: mentuccia fragrante, nipitella dalle note fresche, e lumache che si nascondono nei recessi più umidi, come piccole gemme di un paesaggio selvaggio. Le raccolgo con cura, scegliendo le più robuste, quelle che più si addicono al mio stufataccio. Il bottino è abbondante, e con passo deciso torno alla mia capanna. Il cesto si riempie di vetriole fresche, che copro con un coperchio di legno e aggiungo un ciuffo di mentuccia. Le lascio riposare, affinché si spurgano nel silenzio dei giorni che passano, per ben due giorni.

Mentre la natura fa il suo corso, mi dedico alla preparazione del mio piatto. È proprio allora che, con il peso delle sue imprese sulle spalle, mio nonno, l’esperto cacciatore, varca la soglia della capanna. Con sé porta il trofeo della sua giornata: un capriolo possente, che dovremo riservare per un altro giorno. Ma oggi è il giorno delle lumache.

Metto nel fuoco le lumache in un’olla in acqua fredda, e attendo che si riscalda l’acqua per far uscire le teste. L’olio di olivella selvatica, raccolta nei boschi lontani, sfrigola nel tegame con l’aglio che danza tra le fiamme. Le lumache, scolate dalla loro acqua, entrano in scena, pronte per unirsi alla magia del fuoco. Un sorso di bianco Vulcente sfuma l’aria, mentre il pepe, il coriandolo e la mentuccia si intrecciano in un abbraccio di sapori. Acqua a coprire, il tutto si fonde lentamente, in attesa che ogni bolla di sapore raggiunga la sua perfezione.

In attesa che il piatto raggiunga il culmine della sua cottura, mi concedo un kantharos di vino bianco. È un momento di pace, un piccolo lusso che la terra e il cielo mi concedono. 

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Galletto alla griglia con salsa

Ogni anno, durante la stagione della risalita dei cefali, dal mare verso il fiume Fiora, è mia abitudine uscire presto dalla mia capanna al canto del gallo per andare a pescare. Tuttavia, quest’anno la fortuna sembra essermi sfavorevole. Forse dipende dal fatto che il nuovo galletto del mio pollaio non canta più puntuale. Sarà arrivato il momento di fare qualcosa? Intanto, mi consolerò con un galletto alla griglia accompagnato da una salsa speciale.

Per prima cosa, prendi un mortaio e trita finemente una miscela di pepe, cumino, una manciata di timo fresco, semi di finocchio, menta, ruta e radice di silfio o gurgulestro, un ingrediente aromatico che darà al piatto una profondità inconfondibile. Una volta ottenuto il trito aromatico, aggiungi un tocco di aceto, il cui acido vivace esalterà i sapori e li unificherà in un’unica sinfonia. Mescola con cura, facendo in modo che ogni ingrediente si fonda perfettamente.  A questo punto, il galletto sarà pronto per abbracciare il calore della griglia, dove prenderà vita in una danza di sfrigolii e colori, rilasciando tutto il suo sapore intenso.

Nel frattempo, prendi una carota, tritala sottilmente e mettila in una terrina. Aggiungi miele, aceto, garum e olio, creando una marinata ricca e saporita che arricchirà il galletto. Lascia che il galletto, dopo la cottura, si immerga in questa miscela aromatica, assorbendo tutti i sapori.

Servi il galletto ancora caldo bagnato dal suo sugo profumato, lasciando che ogni boccone sia un’esplosione di sapori freschi e aromatici. Questo piatto, semplice ma ricco, è un esempio perfetto della cucina antica che esalta la freschezza degli ingredienti con l’uso sapiente delle erbe e delle spezie.

Baccelli freschi con uova

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Per onorare il rito propiziatorio, si stappa una bottiglia di “Etruschello” Riserva, lasciando che il profumo di questo nettare divino riempia la stanza. Nel frattempo, i baccelli freschi vengono sbollentati in acqua calda, mentre il primo sorso di vino, con i suoi sentori di barrique e tabacco, accarezza i sensi.

In una padella, l’aglio danza nell’olio, seguito dai baccelli che si mescolano con le uova, due, o meglio tre, aggiungendo sale e pepe macinato fresco. Il tutto verrà coperto con un coperchio, mentre il calore farà il resto. Durante la lenta cottura, si sorseggerà un altro bicchiere di Etruschello, mentre dalla padella si sprigionano soavi profumi. Un dettaglio: il vino, in questa ricetta, non servirà… sarà già un piacere a sé.

Garum

Un antico nettare che affonda le radici nei sapori etrusco-romani, intriso di storie e leggende dimenticate. La salsa di pesce salato, il garum, è un elisir dalle origini millenarie, capace di attraversare i secoli con il suo profumo di mistero e di sacralità. Aringhe, acciughe, sardine, sgombro e altri piccoli pesci, uniti da un intreccio di aromi divini, sale e pepe, danno vita a un condimento che sfida il tempo e la memoria.

Il rito inizia con un contenitore di legno, forato alla base come se fosse il cuore pulsante di una tradizione antica. Inizia con un primo strato di aromi, un mix sacro che sa di riti e di saggezza: alloro, rosmarino, timo, coriandolo, ginepro, semi di ruta, santoreggia e laser, essenze che da secoli accompagnano le celebrazioni e le ricette degli Etruschi. 

Anfora contenente garum, derivante dalle Navi di Pisa, Firenze, Museo Archeologico Nazionale.

Sopra, stendi un delicato strato di pesci, cospargendo generosamente di sale e una spolverata di pepe. Ripeti il processo, stratificando con cura ogni ingrediente fino a raggiungere la perfezione. Un equilibrio delicato che garantisce la conservazione di un sapore immortale.

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Coprilo con un coperchio pesante. Sotto il contenitore, prepara un recipiente pronto ad accogliere il liquido prezioso che, giorno dopo giorno, emergerà da questo matrimonio di ingredienti, un’infusione che solo il tempo può comporre.

Lascia maturare il garum per 30-40 giorni, lasciando che il miracolo avvenga sotto l’incantesimo del tempo. Una volta trascorso questo periodo, sfiletta i pesci, trita la parte più tenera degli aromi e aggiungi il liquido raccolto, creando un condimento che sa di passato, che parla di antiche tradizioni e di sapori mai dimenticati. Infine, trasferisci il garum in piccole anfore, con cura e devozione. Etichettale con l’anno di produzione, e sarà pronto per essere distribuito, un legame tangibile con le origini del nostro gusto. Prodotti simili si possono trovare ancora in molti paesi.

Le fonti letterarie ci raccontano che il garum non fosse solo un tesoro per la cucina, ma anche un segreto custodito nella farmacopea dell’epoca, pronto ad essere impiegato in pratiche curative e misteriose.

“Il cuoco consumerà un gran mucchio di pepe e vi aggiungerà del falerno mescolato ad garum tenuto in serbo” 

Marziale, Epigrammata, VII, 27

Il garum nelle pratiche cerimoniali e come medicamento:

“v’è poi un altro [tipo di garum], riservato atte pratiche superstiziose detta castità e alle cerimonie sacre giudaiche, che viene fatto con pesci privi di squame. La sostanza viene usata tuttavia non poco anche in medicina: La scabbia degli ovini viene guarita con allex iniettato attraverso un’incisione detta pelle ed è utile anche contro il morso del cane e del drago marino; viene applicato però sui pannolini sfilacciati. Col garum si guariscono le ustioni recenti, purché lo si versi su di esse senza dire la parola garum. Giova anche contro i morsi dei cani e specialmente del coccodrillo e per le ulcere che si propagano e per quelle infette. Giova anche mirabilmente per le ulcere e per i dolori della bocca e delle orecchie. La salamoia o la salsuggine, di cui s’è detto, è astringente, mordente, riducente, essiccante; si usa contro la dissenteria, anche se le ulcerazioni colpiscono gli intestini, contro la sciatica, in clistere nei casi di affezioni intestinali croniche. In fomento, nei paesi dell’interno sostituisce l’acqua di mare”.

Plinio, Naturalis Historia, XXXI, 96 sgg

Il garum, quindi, non solo alimentava, ma svolgeva anche un ruolo importante nella medicina e nelle pratiche rituali, rendendolo un prodotto dalle molteplici applicazioni nella vita quotidiana dell’antichità.

Fettuccine nuziali di Apicio

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Il termine “nuziale” prende vita dalla presenza dei lampascioni, quei tuberi avvolti da un alone di mistero e fascino che nell’antichità etrusca e romana venivano offerti agli sposi come simbolo di prosperità e buon augurio. I lampascioni (Muscari Comosum), dalla forma affascinante e dalla bellezza discreta, erano ritenuti portatori di fertilità e potenza, un segno che l’unione coniugale sarebbe stata prospera e duratura. Consumati durante il banchetto che precedeva la prima notte di nozze, venivano apprezzati per le loro presunte proprietà afrodisiache, regalando a chi li mangiava un’energia speciale.

Per esaltarne la loro natura unica, venivano cucinati con il dolce nettare del miele dorato, il mosto cotto dalle note avvolgenti e un pizzico di coriandolo, creando un’armonia di sapori che danzavano tra il dolce e l’aromatico. Ancora oggi, piatti che richiamano questa tradizione si ritrovano nelle terre pugliesi, dove la memoria di quei tempi lontani continua a vivere attraverso la cucina, facendo eco a una cultura ricca di simbolismi e significati profondi.

Per preparare il piatto, soffriggete in olio una cipolla finemente tritata, poi unite le olive verdi disossate e tagliate a pezzetti, i lampascioni precedentemente lessati con un po’ di aceto e la cremosa ricotta o crema di formaggio. Salate e pepate con cura, sfumate con un buon vino bianco, lasciando che i sapori si fondano insieme. Nel frattempo, cuocete le fettuccine in abbondante acqua salata e, una volta pronte, saltatele delicatamente nel sugo preparato, amalgamando bene il tutto. Il risultato sarà un piatto che, come un viaggio nel tempo, unisce la dolcezza e l’aroma di un’antica tradizione con la freschezza del presente.

Acqua cotta all’etrusca

Un tuffo nel passato, quando le tradizioni etrusche si mescolavano alla vita rurale della bassa Maremma. L’Acqua cotta è il piatto che i contadini, i carbonai e i butteri consumavano all’aperto, tra le distese della campagna, mentre seguivano le mandrie al pascolo.

• Immergere in acqua bollente una delle seguenti verdure fresche: cicoria, borragine, cime di zucca o rape, arricchendole con un pizzico di sale.

• Abbrustolire pane non salato, creando il letto perfetto in una rustica casseruola di coccio.

• Soffriggere aglio, guanciale, carota e sedano, aggiungendo qualche fetta di funghi porcini e una manciata di nipitella, un’erba aromatica che profuma di campagna.

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• Unire le verdure scottate al soffritto, proseguendo la cottura con brodo vegetale e versare il tutto sopra il pane tostato.

• Completare con due uova di quaglia, scaglie di ricotta salata e una spolverata di pepe appena macinato, quindi trasferire il tutto in forno per pochi minuti.

• Servire con un filo d’olio extravergine d’oliva, espressione autentica del nostro territorio.

Porcellum Laureatum in Dolce e Forte

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Il Dolce e Forte è un piatto dalle radici millenarie, celebrato anche nella “De re Conquinaria” di Marco Gavio Apicio nel corso dei secoli nel tardo rinascimento è stato perfezionato con l’introduzione del cioccolato, a sostituzione del miele, arricchendo così la sua tradizione. Oggi, questo piatto affascinante è ancora vivo nelle campagne tra Siena e Firenze, dove le piante aromatiche danzano tra loro in una sinfonia di sapori unici.

L’alloro, pianta sacra agli Etruschi e simbolo di purificazione, è la chiave di questa ricetta. La sua maestosa presenza nelle tradizioni etrusche come corona e simbolo di saggezza ha attraversato i secoli, da Dante Alighieri fino ai giorni nostri, coronando i neolaureati. Laurus, la parola che significa “alloro”, è il cuore del nostro Porcellum Laureatum in Dolce e Forte.

Questo piatto prevede la cottura di alcune delle parti più pregiate del maiale, arricchite da un mix di ingredienti che vanno dal vino al mosto cotto, dal miele alle prugne, dal melograno ai semi di zucca, naturalmente, fichi, carrube e lampascioni , tutti avvolti in una morbida nuvola di alloro. Un piatto che racconta la storia dei popoli antichi e dei loro legami con la natura, che risveglia i sensi con ogni boccone.

• Preparazione del Porcellum: Il giorno prima, marinare le parti più pregiate del maiale (capocollo o coscio) con timo, rosmarino, ginepro e alloro, affinché ogni fibra di carne assorba gli aromi.
• Il Soffritto Magico: In una casseruola, soffriggere abbondante cipolla insieme a timo, rosmarino, ginepro e alloro, creando una base aromatica che svelerà il cuore del piatto.
• Cottura del Porcellum: Passare il maiale al forno o alla brace fino a metà cottura, quindi tagliarlo a pezzettoni. Condire con sale e pepe e unire al soffritto, sfumando con abbondante vino rosso.
• Il Dolce e il Forte: Aggiungere all’intingolo fichi freschi o secchi, prugne, uvetta, semi di zucca, carrube e lampascioni (Muscari Comosum), accogliendo la dolcezza della frutta e la forza del vino cotto e del miele.
• Finitura: Concludere la cottura con un tocco di aceto e melograno, per un equilibrio perfetto tra dolce e acido.
• Presentazione Finale: Servire il porcellum su un letto di alloro, decorando con fichi freschi e una fiaccola accesa, come omaggio agli antichi riti etruschi.

Fegato di vitello alla pasta d’olive

Un tuffo nell’antica cucina etrusca, un piatto che racconta la storia di una terra generosa. Si stappa una bottiglia di Chianti “Etruschello” Riserva, un ingrediente essenziale per il successo della preparazione, da sorseggiare con piacere durante il rituale culinario. Le olive nere, raccolte con cura, vengono snocciolate e unite a un filo d’olio di olivella selvatica, per poi essere tritate in una pasta dal gusto intenso. Il fegato di vitello maremmano viene affettato con delicatezza e spalmato con questa crema di olive. In una padella, l’aglio si soffrigge nell’olio, mentre il burro e la salvia liberano il loro profumo. Le fettine di fegato vengono adagiate con attenzione, per poi essere salate al punto giusto. A metà cottura, si aggiungono fettine di limone, per donare un tocco di freschezza. Quando ci si accorge che il “Etruschello” è ormai giunto al termine, si sfuma il tutto con un vino bianco, mentre il piatto si prepara a regalare il suo incanto.

Lampascioni nuziali al vino cotto o miele

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Inizia cucinando i lampascioni in un filo di olio d’oliva, dove il calore accoglie il loro sapore unico. Una volta dorati, sfuma con un vino bianco fruttato, lasciando che l’alcol evapori, mentre i profumi si mescolano. Aggiungi una generosa spolverata di pepe nero, per un tocco di vivacità, e qualche bacca di ginepro, che infonderà al piatto una nota aromatica, quasi legnosa. Infine, completa il tutto con un delicato abbraccio di miele o mosto cotto, che donerà un sapore dolce e avvolgente, bilanciando perfettamente le note più pungenti degli altri ingredienti.

 

Uova di quaglia con portulaca all’aceto balsamico

 

Immergere le piccole uova di quaglia, bollite e sgusciate, in un profumato aceto balsamico, dove riposeranno per 5-6 giorni, assorbendo tutte le note avvolgenti del condimento. Quando il tempo sarà maturo, gustatele in un’insalatina fresca di tenera portulaca, un’esplosione di sapori delicati e agrodolci, perfetta per accompagnare le giornate più frizzanti.

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I ceci verdi, appena raccolti nei terreni fertili di Vulci, vengono trattati con rispetto e passione.
• Rosolare delicatamente l’aglio fresco, accompagnato dal guanciale, fino a che non sprigionano i loro aromi irresistibili.
• Aggiungere i ceci freschissimi e sfumare con un buon vino bianco, profumato finocchietto selvatico di Vulci, sale e pepe nero appena macinato.
• Lasciare cuocere lentamente, aggiungendo l’acqua di volta in volta, per ottenere una consistenza cremosa e perfetta.

 

Olive nere al miele

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Le olive nere si raccolgono solo dopo che l’inverno le ha baciate con il suo gelo. Sarà una notte silenziosa, lontano dagli occhi dei sacerdoti, accanto al grande tempio che veglia su Vulci. Sono le più dolci, le più mature, quelle che le mura del tempio hanno protetto dalla furia del tramontano, facendo sì che ne cadessero meno.

Questa sera, a cena, mi attende una caciotta di pecora, portata dall’amico pastore Lariza, e un piatto di olive nere saltate con olio dorato, miele dolce come il ricordo di un’estate lontana, bucce di arancio a pezzetti e finocchietto selvatico che sprigionano un profumo che sa di sole. Sarà una festa per i sensi e un incontro di sapori.

 

Mettere in salamoia le olive quando sono ancora verdi, saranno pronti solo dopo due mesi.

• Snocciolarle con cura.
• Aggiungere ramerino, aglio, timo, origano fresco, coriandolo, ginepro e pepe.
• Macinare insieme le olive e gli aromi,
• Amalgamare con olio di oliva creando una salsa densa e profumata.
• Servire questa delizia su una fetta di pane casereccio appena abbrustolita, un antipasto ricco di storia e sapore.

 

Crostoni di menta

Oggi è il giorno della ricorrenza annuale dedicata all’assaggio del pregiato vino Etruschello, proveniente dalla rinomata cantina del lucumone di Vulci Mastarna, magistralmente servito dal suo fidato simposiarca.

Il nostro compito, però, è ben diverso: oggi tocca a noi preparare la squisita salsa alla menta, pronta a esaltare ogni boccone con il suo profumo fresco e avvolgente. La ricetta è semplice ma piena di magia, ecco cosa occorre per comporre questo incanto:

• Prendere le foglioline fresche di menta piperita e i pinoli, per macinarli con cura, creando una miscela delicata. 

• Aggiungere olio d’oliva, un cucchiaio di miele dorato e un pizzico di aceto balsamico, dando vita a una fusione di sapori intensi e armoniosi.

• Servire questa prelibatezza su fette di pane casereccio, che, abbrustolite alla perfezione, accoglieranno la salsa come un caldo abbraccio.

E, come da tradizione, non possono mancare i festeggiamenti! Un’infinità di servi e giocolieri aleggia intorno, creando un’atmosfera magica con balli, canti e l’armonioso suono di flauti e cetre che echeggiano nell’aria, per rendere questo evento ancora più memorabile.

Globi di ricotta

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Oggi la mia capanna è in festa, un tripudio di colori e suoni! Danze che s’intrecciano con canti inebrianti, accompagnati dal dolce fischio dei flauti doppi e il suono mistico dei pifferi. Mia figlia, in un attimo, abbandona l’adolescenza e si trasforma in donna, pronta ad essere iniziata nel sacro culto di Dioniso, al grande simposio.

Sfiniti dalla frenesia dei balli, ci stendiamo sui klinai, il nostro respiro che si mescola alla musica ancora nell’aria. Alziamo i kantharos, pieni fino all’orlo di nettare di Vulci, una bevanda che ha il profumo di terre lontane, preparata con arte dal nostro caro amico Larzio, il simposiarca che sa come mischiare spezie segrete come un alchimista. 

Con un sorriso, miriamo a sfidare la sorte al gioco del kottabos, mentre assaporiamo i piccoli globi di ricotta di pecora, croccanti e profumati. La ricetta è semplice, ma l’incanto è nei dettagli: ricotta fresca di pecora, semola quanto basta per legare, e un pizzico di menta, ginepro o erba cipollina. Li modelliamo in piccoli globi dorati, da friggere nell’olio di olive selvatiche che cresce spontaneo tra le valli del Fiora, ricco di sapori antichi. Ogni morso è un viaggio in un mondo di sensazioni, un incontro tra natura e divinità.

Uova di quaglia al garum

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Le uova, avvolte nel calore di una olla al fuoco piena di acqua, si cuociono lentamente, raggiungendo una consistenza perfetta. Una volta sgusciate, vengono tagliate con grazia e ricoperte da un ricco garum, che sprigiona profumi intensi e misteriosi. Curiosità: Etruschi e Romani, maestri di tradizioni, offrivano ai novelli sposi una piccola gabbietta con due quaglie, simbolo di prosperità e armonia.